Considerazioni sul teatro estremo

Considerazioni sul teatro estremo

Sono venuto a conoscenza di una forma di performance teatrale, chiamata "Teatro Estremo".
Così, sono andato a leggermi quel che ho trovato sull'argomento. Si tratta di performance corporee dove la parola è poco o nulla usata. Gli attori usano il loro proprio corpo quale drammatico strumento di sfogo.
Per fare un esempio, considererò una performance di Franko B.: l'attore inglese mostra il suo nudo corpo, si infila un ago da prelievi in vena e lascia che il sangue ne esca a rigoli. Ciò prosegue sin quando, in una pozza di sangue, egli non sviene.
A questo punto interviene l'equipaggio di un' ambulanza che lo trasporta al pronto soccorso.


Se non viene offeso in detto modo, il corpo, è oggetto di violenze sempre sanguinose. E' il caso dei Motus, gruppo operante a Milano, il corpo del cui leader viene gettato, usato, scaraventato, picchiato sino alla rottura di ossa, ferite sanguisose, contusioni gravi.
Famose sono poi le pratiche operatorie a cui si sottopone Orlan, da parte di chirurghi plastici per apportare modifiche al suo sembiante.
La Fura del Baus, gruppo catalano, spazia dal crudo tribale degli appesi al palo allo splat del parto violento di un pollo dal corpo di una donna appesa a testa in giù, sino al pulp del nudo che defeca sul pubblico, passando per l'anoressia di quello che ti vomita un pollo mangiato crudo.
Questo è il così detto teatro estremo o delle performance.
Queste "rappresentazioni" hanno i loro prodromi in quella che era chiamata "Body Art" degli anni Sessanta e Settanta.
In quegli anni, alcuni "artisti" si facevano sparare o accoltellare sul corpo (Buerden, USA), si tagliuzzavano con lamette (Gina Pane) e altro che vede il corpo quale oggetto di offesa.
A mio parere, analizzando attentamente ogni caso, tutto ne trarremmo tranne che di arte si tratti.
Grazie ad una trasmissione televisiva ed alle interviste che la costituivano, ho avuto modo di sentire espresse, da loro stessi, le misere idee di coloro che queste performance producono.
Franko B., intervistato in una discoteca, parlava con voce impastata simile a quella di certi poverini caduti nel vortice della droga allo stadio avanzato. L'espressione spenta dello sguardo e la gestualità spezzata, mi hanno ricordato quelle persone affette da disturbi psichici gravi. Dall' interno della sua bocca, un luccichio svelava la sua dentiera metallica; forse seguito di una qualche tragica performance in cui si strappava i denti? o veniva bastonato e quindi sdentato?
L'unica cosa di senso che gli ho sentito dire è stata: " ... perché il sangue è simbolo di vita! ".
Ho proprio l'impressione che ciò che queste persone inscenano, sia solo il loro dolore di vivere. Un dolore interiore non è compreso da chi non lo vive e il sofferente è così costretto a trattenerlo in sé. Portare in teatro il proprio dolore è pratica comune per gli attori. Impedite loro di esprimersi e impazziranno. Non è però il caso di paragonare la sublimazione artistica di veri attori e di veri commediografi, tesi alla conoscenza ed alla elevazione dello spirito, con performance violente, lesive dei corpi e della dignità umana.
Sono dell'idea che queste manifestazioni pubbliche di dolore, servano da terapia antalgica per chi le pratica. Sì, è un paradosso, ma efficace. Mostrando il dolore, ci si libera del dolore. E' un dolore interiore che viene mostrato al pubblico. Una sofferenza dell'anima che prova ad essere curata mettendo in scena una sofferenza del corpo.
Come dicono loro, quando sono sul palco, o in altre strutture atte a contenere le performance, non sentono dolore, anzi stanno bene. E' lo spettatore che sta male. Si fa carico del dolore dell'attore, lo assume su di sé, togliendolo al performer.
Pensando a Franco B. in una pozza di sangue, vedo il suo essere svanire, il suo essere tormentato e tragico, allontanarsi da lui.
La critica d'arte FAM , anch'ella intervistata in questa trasmissione, dice, pensando di favorire queste forme di espressione, che la differenza tra arte e non arte sta nella consapevolezza. Condivido. Una delle caratteristiche di fondo per cui distinguiamo l'arte dal resto è anche la consapevolezza. Quella consapevolezza che non è presente nei Motus come in Franco B. e come non vi è in tutti questi gruppi che non svelano al mondo i misteri dell'uomo e del suo spirito, ma solo quelli contorti delle loro menti disturbate che possiamo vedere in qualsiasi manicomio. Non vi è consapevolezza poiché alle domande loro fatte, non ho sentito una sola risposta di contenuto. La loro mente è in piena armonia con il loro corpo martoriato, offeso, brutalizzato, volgarizzato. Dolore e sofferenza sono gli unici ingredienti di questo che va chiamandosi teatro estremo, ma che è piuttosto vita estrema. Come scriveva Otto Muehl, performer viennese degli anni Sessanta: "La mia opera è autoterapia resa visibile con i cibi, materiali commestibili. Essa agisce come psicosi determinata dalla mescolanza di corpi umani, oggetti, materiali".
Corpi, oggetti, materia; l'insistenza su questi elementi e la ripetuta manipolazione del corpo ed ancora del corpo, fanno di queste performance un prodotto volgare. Ma l'arte non doveva essere la parte migliore dell'uomo? Quella spirituale, sottile, eterea? Ma l'arte non dovrebbe elevarci al di sopra della materia?
Tutti questi corpi oltraggiati, non mi pare che parlino la lingua dell' arte. Non vi è creazione artistica nella menomazione di un corpo né nella lacerazione di carni umane ed animali. Questa è distruzione, non creazione.
Su Orlan, pittrice le cui foto giovanili testimoniano essere stata donna bella di corpo e di volto e che come lei stessa riferisce " avevo gli occhi degli uomini puntati su di me", sospetto abbia voluto mantenere quegli sguardi attorno a sé. Così, ora, perdendo freschezza con la passata giovinezza, ecco che trasformarsi in mostro, attraverso interventi chirurgici per l'inserimento di protesi, le ottiene il risultato di mantenere ancora su di sé gli occhi puntati. Ha così rinnovato sé stessa e dato nuovo slancio all'interesse per Orlan. Attirare, sedurre ancora.
Forse sto peccando di semplicismo.
Orlan sostiene di fare questo per andare contro l'alienazione ( dove ho già sentito queste cose?), ma farsi applicare delle protesi sintetiche sotto cute, non mi sembra equivalere a tornare alla natura o allo stile di vita dei primi uomini tanto legati ai cicli stagionali. La sua, dice ancora Orlan, è una protesta contro il capitalismo imperante, ma lo fa con la chirurgia plastica che è un preclaro prodotto di questa cultura dell'apparire.
E' questa la consapevolezza di cui parla FAM?
Teresa Macrì, autrice confusa del libro "Il corpo postorganico"; confusa perché confonde "corporeo" con "corporale", perché al posto di "nomade" s'inventa "nomadico", per "libidinoso" dice "libidinale", inventa parole come "infosfera", "ermafrodismi" invece di "ermafroditismi" ( ma questo potrebbe essere un' innocente refuso ) e altri che ho trovati solo a pagina otto. Poi c'è pagina nove, dieci…
Mi sembra prorio che questo mondo delle performance sia popolato da persone confuse e da ombre che oscurano la vista di chi vi dirige lo sguardo.
Ha ragione Marina Beelke, quando denuncia che il pubblico ha scarso senso critico. Una mia amica, dopo aver dato un esame all'Accademia preparato su testi tra i quali quello della Macrì, l'ho sentita usare gli stessi aggettivi storpiati del testo.
Ma tornando un attimo su Orlan, non vorrei fare di tutto il suo lavoro un fascio, certi suoi lavori del passato, li trovo più azzeccati, lucidi, di significato; è dunque chiaro che mi sto riferendo solo a queste particolari intrusioni nel corpo.
Un' altro "artista" sarebbe Paul McCarthy le cui performance sessuali, non riesco a distinguere dalla peggiore pornografia. Ecco cosa dice egli stesso di una sua performance che si tenne a Firenze nel 1980: "Nelle vesti di padrone di casa ho mostrato ai miei ospiti atti sessuali, rappresentati mediante l'uso di bambole e di prodotti femminili. Durante l'azione ho isolato una delle bambole nude facendo finta che fosse mia figlia e l'ho baciata e accarezzata. Ricordavo che mia figlia era morta. In poco tempo mi sono sentito colpevole delle mie azioni e dei miei pensieri. Il senso di colpa mi procurava sensazioni di completa solitudine che permettevano alla mia figliola morta di parlarmi. Da principio la sua voce era di felicità, ma ben presto diede luogo ad una terrificante paura. L'azione finì" ( McCarthy '94 ).
Questo mi sa tanto di parossistico delirio quale si può produrre, a scopi terapeutici, in un setting analitico protetto. E' uno psicodramma utile al portatore di tali turbe psichiche.
In riferimento a queste performance, inoltre, la Macrì parla spesso di simbologia, ma, mi chiedo, dove li vede tutti questi simboli? Che l'hot dog infilato nel sedere di McCarthy nudo sia simbolo di qualcosa, ho i miei fieri dubbi. Mi potreste dire che quello è un simbolo fallico, ma sarebbe una affermazione banale quanto gratutita. Non voglio peraltro soffermarmi qui in una lectio brevis sulla differenza che intendiamo esistere tra simbolo e segno poiché ciò significherebbe aprire un capitolo nell'articolo.

Insomma, non mi sembra di ravvisare nulla di artistico in tutto ciò. Mi sembra invece che si tratti solo di protagonismo, desiderio di affermazione della propria esistenza, bisogno di incidere sulla realtà ( peraltro lecito quanto comune ) ma a tutti i costi.

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